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Sezione: DONNE
06 marzo 2009

8 MARZO - LA CRISI NON E' SOLO 'ROSA' MA.....di Marina Bergamin

Molto, purtroppo, si sta parlando della crisi economica che sta attanagliando il nostro paese. Poco si sta indagando su come essa si stia riversando sulle lavoratrici. A leggere i numeri non possiamo dire che questa crisi sia 'rosa'. Se nel 2006 furono 2.039 le donne licenziate (il 56% del totale), furono 2.009 nel 2007 (53%) e sono state 2.057 nel 2008 (49%): un dato stabile nel numero, quindi; in decrescita percentuale per un solo motivo: la crescita delle espulsioni maschili (rispettivamente 1.590 nel 2006, 1.768 nel 2007, 2.138 nel 2007). Anche nei primi mesi del 2009 restano circa il 41% del totale.

Il motivo è presto detto: mentre le ristrutturazioni degli anni passati hanno impattato con settori cosiddetti maturi, come il tessile-abbigliamento o l'orafo, con alto tasso di disoccupazione femminile, oggi la crisi riguarda aziende più maschili come la meccanica, la concia, l'edilizia.
I servizi, inoltre, che fino a qualche tempo ha riuscivano ad assorbire la disoccupazione, stanno rallentando fortemente la corsa: è prevedibile che nei prossimi mesi avremo qualche numero in più.
Al solito non siamo in grado di dire quale sia il numero di lavoratrici con contratti 'atipici' non rinnovati. Un discorso a parte riguarda i servizi pubblici e la scuola dove, con l'anno in corso, decine e decine di contratti arriveranno a conclusione.

Al dato quantitativo serve tuttavia agganciare un dato qualitativo che affido alle categorie: quali sono le donne espulse? Quanto è facile o difficile la loro riqualificazione? Quanto è facile o difficile per loro trovare una nuova occupazione? E quali forme contrattuali si troveranno ad affrontare?

Il nostro timore che il reinserimento avvenga ad un gradino più basso del precedente, soprattutto quando parliamo di lavoro non particolarmente qualificato.
Un altro timore è che torni l'antifona che il lavoro e il salario femminili sono aggiuntivi in famiglia e quindi rinunciabili all'interno delle imprese.

La precarietà e l'insicurezza nel lavoro rende le donne più esposte ad eventuali ricatti e molestie. La crisi rende tutti più fragili, ma certamente di più chi si porta dietro già strutturali debolezze.
Bisogna resistere, quindi, al rischio di arretramento economico, sociale e culturale che può coinvolgere le donne.

Donne, a Vicenza, finora ben decise a lavorare: il tasso di occupazione femminile era, nel 2007, pari al 54,6%, (ma il 76% quello maschile) e il tasso di disoccupazione al 5,5% (2% quello maschile).

Il Sindacato chiede, in questo momento complicato, di proteggere l'occupazione, di non adottare misure direttamente espulsive, di aumentare gli ammortizzatori sociali.

A favore delle lavoratrici (ma non solo) possiamo chiedere di più:
- di adottare regimi di orario più favorevoli (in molte aziende il part-time è ancora un pio desiderio),
- di sfruttare le opportunità della Legge 53 sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro,
- di concepire il welfare e i suoi servizi come volani per nuovo lavoro e nuovo benessere (secondo acune stime 100 posti di lavoro occupati da donne ne creano altri 15).

Insomma non si abbandoni, per colpa della crisi, l'idea del diritto a pari opportunità tra uomini e donne. Non si abbracci, viceversa, l'idea che con pochi soldi e poco stato sociale le donne debbano tornare a casa.

Marina Bergamin Segretaria generale Cgil

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